venerdì 26 luglio 2013
C'era un tempo, negli anni Venti e Trenta del Novecento, che gli intellettuali più famosi della Germania e dell'Austria preferivano alle case gli alberghi e come studio usavano i caffè. Vi si sedevano in tarda mattinata, bevevano e scrivevano e vi facevano conversazione fino a tarda notte. La maggiore poetessa dell'espressionismo tedesco, Else Lasker-Schüler, vi viveva proprio, dal momento che sovente non aveva nemmeno i soldi per l'albergo. Joseph Roth, invece, passava da un albergo all'altro e considerava come assurda l'idea di metter su casa, anche potendo. I caffè di Vienna erano assai più che dei luoghi di ritrovo, erano il cuore della cultura austriaca. Nel suo «Hotel Savoy», una delle prime opere di Joseph Roth e quella che lo consacrò come grande scrittore, il valore eccezionale dell'albergo emerge con forza. L'albergo è fuori dal tempo, è spazio neutro, consente di essere marginale e al tempo stesso ti offre tutto l'agio possibile. Succede anche che uscire dal proprio spazio abituale ti consente quella concentrazione della mente che sola sfocia nella scrittura. Così, il caffè e l'albergo incontrano l'aspetto bohème della scrittura, la sua immagine marginale e trasgressiva. E liberano, sovente, la scrittura rimasta bloccata nelle pastoie della vita borghese.
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