sabato 27 ottobre 2012
Sono in una piccola stazione e aspetto il treno su una delle sedie di metallo dell'unico stanzone accanto alla biglietteria chiusa. Fuori sta piovendo. Di fronte al quadro luminoso che annuncia arrivi e partenze ci siamo io e tre vecchi. Sono seduta nell'ultima fila e vedo le loro spalle, non i visi, ma sento chiaramente che non parlano. Dicono solo «ciao» a un uomo più giovane che entra insieme all'umidità, strizza il berretto di lana e va a sedersi vicino a loro. La voce irreale dell'altoparlante annuncia che il mio treno è in ritardo di venti minuti. Nel tramonto del pomeriggio già buio i quattro uomini lentamente si riducono a ombre, testimoni muti di inutili attese. Perché è evidente che loro non aspettano nessun treno. «Ottobre è il più crudele dei mesi» esprimerebbe il sentimento più immediato e condivisibile. Vecchi e nuovi pensionati che non possono più stare all'aperto sulle panchine, e al bar non vanno per non spendere in caffè i soldi necessari ad altro, si adattano a ritrovarsi in una stazione vuota, dove l'unica cosa viva sono le luci gialle del tabellone. Eppure, non sono solo malinconia e rabbia i sentimenti che provo. Quegli uomini si aiutano a consumare le ore della vita. Domani sarà lo stesso, e per i pomeriggi che resteranno. Non è anche questo uno scambio di carità, di amore?
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