venerdì 13 settembre 2002
La calunnia ha un filo più tagliente di una spada, una lingua più velenosa di quella di tutti i serpenti del Nilo, un fiato che cavalca i venti come fossero corsieri e diffonde la menzogna per tutti i quattro punti cardinali del mondo. Non avevo mai letto Cimbelino, una delle ultime opere drammatiche di Shakespeare (è collocata tra il 1609 e il 1610). Nell'atto III, scena IV, uno dei personaggi, Pisanio, lancia questa bordata contro la calunnia. Tema, questo, che non abbiamo mai fatto mancare alla nostra rubrica perché siamo convinti che di calunnie siamo al tempo stesso artefici e vittime. C'è, infatti, un gusto particolare nel partire magari da uno spunto reale e iniziare un ricamo raffinato di falsità maliziose. E c'è, per contrasto, un'impotenza amara quando si conosce una calunnia emessa contro di noi, nei cui confronti ci sentiamo del tutto incapaci di controbattere, nella certezza di non riuscire mai ad essere convincenti. Mi pare di aver già citato in passato un'altra battuta di Shakespeare, quella di Amleto a Ofelia: «Anche se tu sei casta come il ghiaccio e pura come la neve, non sfuggirai alla calunnia. Vattene in convento!». E chi ci assicura che il convento sia un'oasi paradisiaca ove non soffi il «venticello» della calunnia (per usare un'immagine del Barbiere di Siviglia)? Già la Bibbia segnalava la sofferenza di un orante che presentava a Dio lo scandalo dell'amico calunniatore: «Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato" ma sei tu, mio amico e confidente, legato a me da dolce amicizia!» (Salmo 55, 13-15).
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