martedì 8 aprile 2003
Quel genere di libidine che si può chiamare "documentaria", la libidine di chi si compiace di moltiplicare i documenti allo scopo preciso di recar noia a colui il quale ha l'audacia di chiedere alla pubblica autorità la licenza di esercitare un proprio diritto. Devo rinnovare il passaporto scaduto e scopro che, nonostante i progressi fatti nella semplificazione della burocrazia, bisogna ancora dedicare tempo e pazienza a un atto tutto sommato elementare. "Sui passaporti" era proprio il titolo di uno dei capitoli del volume Lo scrittoio del Presidente che Luigi Einaudi (1874-1961) aveva scritto, basandosi proprio sulla sua esperienza di capo dello Stato italiano dal 1948 al 1955. Curiosa è la sua definizione di quella sindrome che attacca subito il burocrate, la "libidine documentaria", cioè l'inutile moltiplicazione dei cavilli, degli inghippi, delle copie, insomma di tutto ciò che freni una domanda legittima, un'attività che vuole esplicarsi. Mi pare di aver già proposto ai lettori un passo del Diario notturno di Flaiano che sbeffeggiava così il burocrate: «Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l'assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all'ufficio competente, che si sta creando"». Paradosso certo, ma tutt'altro che lontano dall'accadere. In tutti i campi - ahimé, talora anche in quello ecclesiale - è facile che il germe burocratico alligni e si diffonda. È necessario essere, certo, vigili e severi, esigenti e rispettosi delle norme, ma è ancor più necessario essere semplici e chiari, comprensivi e rispettosi delle persone, delle loro esigenze, del loro lavoro, delle loro istanze.
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