Leo e gli altri, campioni a scuola e nello sport
mercoledì 14 aprile 2021
Quando mi dicono che sport e scuola convivono a fatica, che l'uno porta via tempo all'altra, che “bisogna scegliere”, a me viene sempre in mente un atleta che con cui ho avuto il piacere di lavorare in nazionale. Eravamo entrambi giovani, io assistente allenatore, lui un talento puro che era stato capace di vincere nel 2004 il premio riservato al miglior Under 23 italiano della serie A1. Leonardo (per tutti Leo) Morsut era un ricettore-attaccante di grandissima qualità e aveva davanti a sé una carriera luminosa. Leo era un ragazzo molto attivo nello spendersi per un mondo migliore, uno che arrivava in bicicletta nei parcheggi di Palasport dove già si vedevano automobili particolarmente costose. Un ragazzo intelligentissimo che a tutti ripeteva che lui, da grande, avrebbe voluto fare lo scienziato.
Leo, che tra le altre cose era anche un pianista talentuoso, arrivò alla prima laurea, in biotecnologie mediche, in tempi rapidissimi. Decise di interrompere la sua carriera in serie A1 e in nazionale, rinunciando a contratti importanti per continuare a studiare. Aveva ventisei anni, il periodo in cui un atleta incomincia a raccogliere i frutti di anni e anni di allenamento. Leo raggiunse rapidamente anche la seconda laurea, in matematica, e incominciò la sua carriera di ricercatore. Ai tempi tutti i giornali sportivi sottolineavano come un qualsiasi discreto giocatore di A1 avrebbe guadagnato 5-6 volte di più di un giovane scienziato. Leo Morsut, tuttavia, non era un “discreto” giocatore di A1, ma un campione vero. E non era neppure un “ricercatore” come tanti, ma un campione anche in quel campo.
Tutti i campioni, è normale, vogliono giocare nei campionati migliori. Quando Leo giocava a volley il campionato migliore era quello italiano, ma il “campionato migliore” per un ricercatore nel settore delle biotecnologie sono gli Usa. Morsut negli Stati Uniti d'America ci andò nel 2012, a San Francisco e, ovviamente, sparì un po' dai radar giornalistici del nostro Paese. Insomma, la sua era una bella storia, ma chissà come era andata a finire. Nei radar ci è tornato prepotentemente pochi giorni fa, quando abbiamo scoperto che Leo ha oggi un proprio laboratorio di ricerca, il “Morsut Lab” a Pasadena, dove vive con la famiglia, e che ha appena ricevuto un finanziamento da 2,5 milioni di dollari da parte dell'Istituto nazionale della sanità americano per finanziare le ricerche che il “team Morsut” sta portando avanti sulla medicina rigenerativa.
Quando mi dicono che sport e scuola convivono a fatica penso a Leo Morsut, o a Giulio Di Toro, tanti anni di pallavolo in serie A1, geologo premiato dall'Accademia dei Lincei per l'invenzione di “Shiva” la prima macchina al mondo che simula il “motore” dei terremoti e oggi titolare della cattedra di scienze geologiche all'Università di Manchester. Oppure penso a Luca Vettori, attuale opposto di Modena, che ho avuto l'onore di allenare in nazionale e che in trasferta portava uno zaino di libri, tra i quali, sempre, le poesie di Rilke.
Quando mi dicono che sport e scuola convivono a fatica, sorrido. Perché i migliori atleti che ho conosciuto erano quasi sempre ottimi studenti. La ragione, d'altronde, è facile da capire: se una persona è metodica, puntuale, ordinata, rigorosa, curiosa di solito lo è sia a scuola sia in palestra. E viceversa, naturalmente.
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