venerdì 29 maggio 2020
Sono tornati, dopo oltre due mesi. Sono arrivati come sempre alle sei del mattino, quando Milano attorno dormiva. E hanno preso a scaricare casse e casse di frutta, e a aprire i tendoni. Al bar dell’angolo il caffè bollente, alle sei e mezza. Poi, di nuovo a lavorare. Un’ora dopo i banchi erano già perfettamente ordinati: pesche di velluto, fragole, e il rosso sangue delle prime ciliegie. E l’oro dei fiori di zucchina, e le collane d’aglio e cipolle appese, e monumentali cavolfiori. Frutta e verdure qui sono così belle che mi fermo a guardarle, devotamente: la fantasia delle forme e dei colori mi fa sempre pensare che un simile creato non può esistere, senza un Creatore. E sono tornati, anche, i banchi delle scarpe, delle lenzuola, e dei casalinghi, che mi piacciono tanto: colmi di mestoli, colapasta, mattarelli, formine. Ecco il “mio” banco delle tovaglie, festose tovaglie stampate a rose, girasoli, angurie – per dieci o dodici euro metti sulla tavola l’estate. Il fioraio poi, con le roselline dall’Olanda e le piccole edere rampicanti che, sul balcone, cresceranno e rimarranno, tenaci («l’edera, dove si attacca muore», risento la voce di mia madre). Manca solo, perché il primo mercato dopo il silenzio del Covid sia perfetto, quell’assembramento goloso di donne a certi banchi che subito fa accorrere le altre, perché segnala un affare vantaggioso. Quanto mi è mancato, il mercato: dove si incrociano in pace voci lombarde e straniere, e gli ambulanti tunisini chiamano “sciura” le clienti. Volto di un’Italia popolare, fragrante, e ancora stranamente sorridente: a volte accade che un ambulante intoni una vecchia canzone di Morandi. Poi, alle due, ricaricano le loro casse e se ne vanno, su vecchi furgoni. Di che avranno vissuto, mi domando, in questi mesi? Gioia di ritrovarli, con il loro gaio e rumoroso disordine, nell’era dell’e–commerce: pezzo superstite e gentile di ciò che eravamo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: