domenica 19 novembre 2006
Poche persone oserebbero esporre al mondo le preghiere che rivolgono a Dio onnipotente. Solo Dio sa quante preghiere sincere o ipocrite, genuine o interessate, generose o egoiste salgono oggi dalle nostre chiese in questa giornata festiva. Dovremmo dire: «Per fortuna», perché, se si dovessero pubblicare, non poche di quelle invocazioni rivelerebbero forse aspetti meschini di noi stessi. L'uomo, infatti, non è solo ciò che mangia, ma anche ciò che pensa e prega. Con una punta di sarcasmo il famoso scrittore moralista cinquecentesco Montaigne nei suoi Saggi ci sbatte in faccia questa verità. Ci aggrappiamo talvolta a Dio solo per tamponare le nostre falle, per farci star bene, per superare un esame, e forse anche perché colpisca un nostro avversario. Intendiamoci bene: la preghiera può anche esprimere la nostra umanità con la sua fragilità; è legittimo domandare «il pane quotidiano» così come è la Bibbia stessa, nel Salterio, a permettere lo sfogo dello sdegno nell'invocazione, l'esplosione di un'amarezza che ci rode affidandola al Dio della giustizia e non alla nostra vendetta. Ma guai a ridurre l'orazione solo a una sorta di assicurazione o a una petizione rivolta a un'agenzia di collocamento. Lo scrittore russo ottocentesco Ivan Turgenev in un suo testo intitolato appunto Preghiera, pur esagerando, colpiva nel segno quando scriveva: «Per qualunque cosa uno preghi, prega sempre per un miracolo. Ogni preghiera si riduce a questa: Buon Dio, concedimi che due più due non faccia quattro». Cristo, invece, ci ammoniva: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta» (Matteo 6, 33).
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