martedì 13 febbraio 2007
Bisogna risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie e questa nuova forma di espressione deve maturare nel silenzio. Non è la prima volta che attingiamo allo straordinario diario, edito in italiano da Adelphi, che ci ha lasciato Etty Hillesum, giovane donna dalla forte genialità e dalla temperie mistica, uccisa dai nazisti nel lager di Auschwitz a soli 29 anni nel 1943. Lo facciamo anche oggi con questa semplice riflessione sulle parole inutili e su quelle necessarie. Non è certo un tema poco esplorato nelle nostre brevi considerazioni: ci siamo ritornati più volte, anche con un po' di esitazione e di autocritica, perché sono molte, forse troppe, le parole «inutili» da noi spesso usate pure qui nello spazio del «Mattutino». Proprio per questo bisognerebbe sempre esercitare una sorta di ascesi del linguaggio, che talora dovrebbe diventare persino digiuno e quindi silenzio. Un silenzio - dice Etty, cioè Ester - dal quale far sbocciare quelle poche parole «necessarie», quelle che incendiano i cuori, che illuminano le coscienze, che rallegrano la vita. Mi ha sempre impressionato una battuta del poeta francese Charles Péguy: «Alcuni si strappano le parole dalle viscere, altri le tirano fuori dalla tasca del soprabito». Le prime sono appunto quelle necessarie, calibrate, cariche di significato e di verità; le altre sono il flusso instancabile e inesauribile della chiacchiera vana e vacua. Ecco, allora, un esercizio da praticare: purificare il proprio linguaggio sia riducendo lo sproloquio sia abbassando i toni. Un altro poeta francese, Paul Valéry, ammoniva: «Tra due parole scegli sempre la minore» perché è nella semplicità pacata che ama avvolgersi e rivestirsi la verità.
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