giovedì 7 giugno 2007
Le opinioni alle quali teniamo di più sono quelle di cui più difficilmente potremmo rendere conto. Ho già avuto occasione di ricordare in passato una nota ironica di Manzoni sulla donna Prassede dei Promessi sposi, che di idee «n'aveva poche, ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n'era per disgrazia molte delle storte; e non erano quelle che le fossero meno care». Muovendomi più o meno nello stesso ambito tematico, oggi ricorro invece a un importante filosofo francese, Henri Bergson, dal cui Saggio sui dati immediati della coscienza (1889) ho tradotto la nostra citazione quotidiana. Qui di scena sono le «opinioni» che ai nostri giorni hanno persino dato origine a una figura che imperversa sui giornali e nelle televisioni, l'opinionista. Il più delle volte è un abile confezionatore di luoghi comuni, alonati un po' da una certa saccenteria che trasforma le opinioni - di loro natura "opinabili" - in verità acclarate. In realtà, se siamo sinceri, un po' tutti - come ammoniva il filosofo - ci teniamo strette le nostre opinioni, le difendiamo a spada tratta, anche se spesso non siamo in grado di dimostrarne la fondatezza. Questo vale per tutti i campi, persino per quello religioso: non di rado si trovano persone inflessibili nel sostenere tesi ritenute come verità intoccabili, mentre sono solo ipotesi tutte da provare. Anzi, molte volte l'opinione più cara è una bufala e, per la sua leggerezza, viene più agevolmente fatta passare per vera, creando così una catena di inganni. C'è, infine, un altro mostro quasi intoccabile, la cosiddetta "opinione pubblica" che il romanziere francese de Balzac comparava alla «più viziosa delle prostitute» perché essa talvolta non solo domina molti ma anche emargina chi osa contrastarla, quando è palesemente ingannevole e fuorviante.
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