domenica 28 ottobre 2007
L'arte di interrogare non è facile come si pensa. È più arte da maestri che da discepoli. Bisogna già aver imparato molte cose per saper domandare ciò che non si sa.
Paradossalmente (ma non troppo) lo scrittore inglese Oscar Wilde diceva che a dar risposte sono capaci tutti, ma per fare le vere domande ci vuole un genio. Più o meno la stessa cosa è affermata anche nel passo sopra citato che ho tratto dal romanzo La nuova Eloisa (1761) del notissimo filosofo francese Jean-Jacques Rousseau. Alla base di questa considerazione c'è la forza della domanda che è di sua natura ricerca di senso. È proprio per questo che il bambino è implacabile coi suoi «perché?». In lui non si è ancora sterilizzato - come accade all'adulto superficiale o disincantato o deluso - il desiderio di sapere, l'ansia di capire, la curiosità della scoperta. La scienza stessa si fonda su una continua interrogazione nella quale ogni risposta è base per un'ulteriore domanda che fa procedere verso nuovi orizzonti.
Abbiamo voluto proporre questo tema in una giornata domenicale proprio perché è forse il tempo più adatto - coi suoi spazi maggiori di libertà e di quiete - per compiere un esercizio radicale. Sono tutte importanti le domande serie, ma ce ne sono alcune capitali come l'interrogarsi sul senso ultimo della vita, sulle scelte decisive, sui valori da ricercare. Purtroppo questo esercizio (che un tempo si chiamava "meditazione" o "esame di coscienza") è diventato raro e fin obsoleto. Eppure senza il fiore delle domande che sbocciano come tanti petali, non si ha poi il frutto delle risposte che indicano una strada o una meta nell'itinerario della vita.
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