venerdì 16 maggio 2003
Dio ha in mano quasi tutte le carte del giuoco; ma non possiede l'ultima, che incarna la nostra libertà. Lo scorso novembre 2002, nella sua casa di Roma, moriva a 90 anni lo scrittore Ferruccio Ulivi. Di lui, nonostante la distanza materiale, ho tanti ricordi e tutti bellissimi perché era un uomo di una signorilità, di una finezza e di una spiritualità assolutamente uniche. A distanza di mesi dalla sua morte, che ha lasciato un vuoto non solo in tutti noi che gli abbiamo voluto bene e stimato ma anche nella cultura cattolica italiana, mi capita tra le mani un suo libro del 1983, La notte di Toledo (Rusconi), con una dedica affettuosa. È un romanzo dalle pagine roventi, che svelano l'interiorità della ricerca e il travaglio della fede di Ulivi. Trovo le poche righe sopra citate: esse toccano un tema arduo e delicato, quello del rapporto tra grazia e libertà. È sempre sorprendente pensare che Dio - come suggeriva un'antica tradizione giudaica - "si ritiri" creando l'uomo e la donna per lasciare spazio alla loro libertà. Una libertà che egli s'impegna a rispettare anche quando la sua creatura folleggia: egli non paralizza la mano dell'assassino né blocca i progetti del perverso. Eppure Dio non ci lascia soli, abbandonandoci a noi stessi e permettendo che la storia piombi nel baratro. Ecco le altre "carte del giuoco" che il Creatore tiene in mano e che hanno nomi diversi: amore, grazia, perdono, conversione, salvezza, ma anche giustizia, giudizio, verità. Continuava Ulivi: «Bisogna sempre cercare; cogliere il segno del cammino di Dio», anche a costo di sofferenze, fatiche, paure. «Solo a questa condizione posso avvicinarmi alla meta: all'Unico».
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