giovedì 15 febbraio 2007
Campana di Lombardia,/ voce tua, voce mia,/ voce voce che vai via/ e non dài malinconia./ Io non so che cosa sia,/ se tacendo o risonando,/ vien fiducia verso l"alto/ di guarir l"intimo pianto,/ se nel petto è melodia/ che domanda e che risponde"È da un po" di tempo che non ricorro alla poesia; lo faccio oggi, proprio perché - mentre scrivo - sento le campane di una chiesa del centro di Milano echeggiare sulla città distratta e chiassosa. Ogni tanto c"è qualche isterico che protesta e adisce le vie legali per fa tacere i rintocchi delle campane che disturberebbero la sua quiete. In mezzo a moto e ad auto rombanti, a rumori di ogni genere e a un urlare che ci assorda, alla ricerca frenetica del frastuono (si pensi solo alle discoteche), l"accanimento contro l"armonia festosa o i rintocchi severi delle campane svela l"incapacità di distinguere tra suono e fracasso.         Quel suono, poi, come dice il poeta sopra citato e a me caro, Clemente Rebora (1885-1957), diventa un misterioso dialogo tra «la voce tua e la voce mia». C"è, infatti, in quella melodia non solo l"eco di emozioni dell"infanzia ma anche un"evocazione del mistero. Chi sa ascoltare quelle voci argentine - afferma il poeta, che era un religioso rosminiano - sente scivolare nel cuore una fiducia che consola, oppure s"accorge che esse fanno fremere la coscienza risvegliando il seme delle domande. Ossia quegli interrogativi che aiutano a ritrovare il senso della vita, scuotono la superficialità, aprono lo spirito al mistero. Lasciamoci toccare dal suono delle campane; anche se ci risvegliano, non è solo dal sonno della notte che ci fanno uscire ma anche da quello dell"anima.
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