La tragedia di Seid il male della sindemia
mercoledì 9 giugno 2021
Il dibattito sulla tragica morte di Seid Visin, un ragazzo di vent'anni, sportivo, che si è tolto la vita nella sua casa di Nocera Inferiore, ha reso – se possibile – tutto ancora più triste, paradossale, struggente. In questo Paese le opinioni sono ormai espressione di tifoserie, ci si esprime sulla base dal fan club di appartenenza, non esiste più un bipolarismo partitico, ma si assiste a una polarizzazione del pensiero in modo che chiunque trovi conforto nella parte in cui sceglie di stare, si immerga nella propria verità, si nutra delle proprie certezze. Il fatto che un ragazzo di vent'anni decida di farla finita, dopo aver lanciato un grido d'allarme anni prima, dovrebbe probabilmente generare più silenzio che rumore. Il silenzio colpevole di una società che non è stata capace di creare quelle condizioni minime di normalità in cui un ragazzo di quell'età possa immaginare il proprio futuro e inseguire un proprio sogno. È triste dirlo, perché tante volte da queste colonne mi sono speso anch'io sul tema, ma è evidente che in questo caso pure lo sport ha fallito. E allora, forse, sarebbe utile riflettere sulle nostre responsabilità, di attori o di semplici spettatori di un modello di società che dava già enormi segnali di fragilità che la pandemia ha moltiplicato.
Più che di pandemia occorrerebbe parlare di "sindemia", termine coniato negli anni 90 del Novecento dall'antropologo americano Merril Singer, che rappresenta letteralmente l'insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall'interazione sinergica di una o più malattie trasmissibili, caratterizzata da ripercussioni sulle fasce di popolazione svantaggiate o sulle persone più fragili. La sindemia va oltre l'impatto sanitario della pandemia, amplificando le disuguaglianze della società.
Il prezzo che stiamo pagando è infatti diverso a seconda delle classi sociali e delle fragilità individuali. La prima grande differenza, per esempio, è stata quella fra chi ha potuto continuare a lavorare da casa chi ha dovuto continuare a recarsi sul posto di lavoro, rischiando di più e chi il lavoro lo ha perso. Il virus ha così accresciuto le diseguaglianze sociale, da far venire in mente a qualcuno di proporre un calcolo basato sul costo/beneficio per decidere di attuare o meno il lockdown e di misurarne l'impatto economico rispetto al costo della tutela della vita di categorie "non produttive", come gli anziani. C'è chi ha proposto di concentrare il piano vaccinazione nelle aree più produttive del Paese e un'enorme diseguaglianza si è generata rispetto all'accesso all'istruzione. Le dimensioni della casa, la connessione a Internet, il numero di apparecchi disponibili in famiglia hanno generato enormi differenze che ci porteremo dietro per decenni. Insomma, questo virus si è innestato su una società già malata, aumentandone le disuguaglianze e creando il rischio di forti tensioni sociali, come di tragedie individuali.
Riposi in pace Seid e il suo ricordo di accompagni generando meno affermazioni con il punto esclamativo, più domande e più punti interrogativi. Perché, purtroppo, non è più in discussione se "ne usciremo migliori", ma semmai se ne usciremo in tempo, prima di pagare un tributo irrecuperabile.
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