martedì 19 luglio 2011
L'intelligenza ognuno se la deve conquistare. Soltanto la stupidità si espande gratuitamente.

«Sono un tedesco di Dresda in Sassonia. Il mio paese non mi lascia partire. Sono come un albero che è nato in Germania e che, se è proprio necessario, si seccherà in Germania». Così si presentava nelle sue Risposte necessarie a questioni superflue lo scrittore Erich Kästner, nato appunto a Dresda nel 1899 e perseguitato dal nazismo che fece mettere al rogo i suoi libri per la gioventù, costringendolo a pubblicare in Svizzera. Egli, però, rimarrà in Germania e vedrà il crollo del nazismo: morirà, infatti, nel 1974 a Monaco di Baviera. La sua lingua era volutamente dimessa, ma attraversata da lampi di feroce ironia, come nel passo delle Risposte che ho sopra tradotto. Sono, comunque, parole sacrosante che meritano, pur nella loro evidenza, una riflessione.
Essere intelligenti non è solo frutto di nascita, ma è risultato di un costante e paziente esercizio, di una sorta di libera e gioiosa ascesi che attrezza la mente e l'anima a percorsi ardui e gravosi su sentieri d'altura. Lo studio esige rigore, tempo, applicazione e non si concilia con la genericità e la dissipazione. Leonardo da Vinci, usando una locuzione evangelica, osservava che «come ogni regno in sé diviso è disfatto, così ogni ingegno diviso in diversi studi si confonde e si indebolisce». Quello che, invece, non esige fatica e impegno è la stupidità che cresce senza costi e senza limiti. Lo scrittore Riccardo Bacchelli, durante un colloquio nel 1980, mi esortava a combattere la stoltezza imperante, perché «gli stupidi impressionano, non foss'altro che per il numero!». «L'intelligenza ha un abito solo e una sola strada ed è sempre in svantaggio. La stupidità è versatile e può indossare qualsiasi abito», scriveva Robert Musil nell'Uomo senza qualità.
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