venerdì 27 gennaio 2017
C'è un verso di Fernando Pessoa che ci avvicina a una verità al tempo stesso ovvia e nascosta: noi non misuriamo la nostra altezza, ma l'altezza di ciò che vediamo. Quello, dunque, che ci conferisce statura, che attribuisce una dimensione alla nostra vita, non sono i centimetri in più o in meno, ma quel che poniamo davanti al nostro sguardo, ciò con cui dialoghiamo, in una presenza esterna o interiore. La domanda inquietante che sorge è allora questa: in un'epoca che ci obbliga a vivere nella vertigine e con sempre meno tempo a disposizione, non saremo noi tutti simili a una popolazione di lillipuziani, come quei personaggi delle avventure di Gulliver? Senza disponibilità al gratuito, senza valorizzare la contemplazione e lo stupore, senza un'opportunità lasciata alla meraviglia che spalanca sulla vita o alla sorpresa che ne rappresenta la delizia, quale reale statura possiamo noi misurare? L'utilitaristico è ormai diventato il criterio di valutazione delle nostre società, ma noi necessitiamo anche dell'inutile. Accanto al pane avremo sempre bisogno delle rose. O, meglio: in certi momenti chiave della nostra esistenza, se non saranno le rose a sorreggerci, nemmeno il pane ci servirà. Uno dei grandi maestri della poesia cinese, Li Bai, ha una poesia corta e meravigliosa in cui raccomanda: «Vendi uno dei tuoi pani e comprati un giglio».
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