domenica 25 giugno 2006
La vocazione cristiana consiste nel trasformare in endecasillabi la prosa quotidiana. Il cielo e la terra sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell'orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero. L'immagine ha una sua originalità e potenza: «Trasformare in endecasillabi la prosa quotidiana». A renderla un simbolo spirituale è san Josemaría Escrivà, il fondatore dell'Opus Dei, nel suo scritto Amare il mondo appassionatamente. Di lui domani la liturgia celebra la memoria; noi lo evochiamo oggi proprio perché illumini questa settimana che sta di fronte a noi con la sua ferialità da «prosa». Il tema è profondamente legato al cuore del cristianesimo e, se si vuole, dell'intera religione biblica. L'Incarnazione dichiara che cielo e terra si sono incontrati e abbracciati, il divino e l'umano si sono intrecciati, l'eterno intride il tempo, l'infinito avvolge lo spazio, l'assoluto irradia il contingente e il relativo. Continuava Escrivà: «Quando un cristiano compie con amore le attività quotidiane meno trascendenti, in esse trabocca la trascendenza di Dio». Per questo anche l'azione più modesta, compiuta con la passione della fede e dell'amore, si trasfigura. Il cuore povero e limitato della creatura diventa la sede di Dio stesso. La casa, il lavoro, la strada riescono a diventare un tempio, senza perdere la loro semplicità e quotidianità. È un po' come quando si è innamorati: tutto diventa colorato, anche il grigiore di una giornata comune.
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