sabato 17 marzo 2007
Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché molti la possano conquistare. È stata una figura decisiva nella storia italiana dell'Ottocento, ma ora è al massimo il nome di una via in tutte le città e i paesi e il titolo di un capitolo dei libri di storia. Stiamo parlando di Giuseppe Mazzini che oggi ci offre lo spunto per una riflessione di taglio sociale. Spesso si esalta, soprattutto nel capitalismo occidentale, la quasi sacralità della proprietà privata e questo atteggiamento ha portato alla fine a far sì che una piccola porzione di uomini possieda quasi tre quarti dell'intera dotazione di beni della terra. In molte nazioni il problema dei benestanti è quello della dieta, per la maggior parte degli altri è quello della fame. Assisi alla tavola del mondo, alcuni pochi hanno davanti a sé masse di beni, mentre tutti gli altri stanno o in piedi o per terra attendendo le briciole. Bisognerà, allora, sradicare la proprietà personale e familiare? Quando lo si è fatto in passato con gli stati marxisti, l'esito è ora davanti a tutti. Ecco, allora, il messaggio di Mazzini che potremmo declinare anche in modo cristiano. La destinazione universale dei beni della terra, voluta dallo stesso Creatore, è la meta da raggiungere. La proprietà privata è un mezzo che deve rimanere tale, uno strumento da ben calibrare e controllare, mettendolo
nelle mani di tutti. Ecco, allora, il monito di s. Ambrogio: «La terra è stata creata come un bene comune per tutti. Perché, o ricchi, vi arrogate un diritto esclusivo? Quando aiuti il povero, tu non gli dai del tuo, ma gli rendi il suo, tu gli restituisci il dovuto, non gli elargisci il non dovuto».
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