martedì 31 luglio 2012
«Spezzare il tetto della casa». Il grande storico delle religioni Mircea Eliade assume questa espressione di origine tibetana come esempio di potenzialità e necessità metafisica di ogni essere umano, in qualunque civiltà. Nel Tibet si racconta di yogin molto potenti che, chiusi a meditare in una stanza senza finestre, riescono a emergere spezzando il tetto di carta. Questa apertura si chiama «Porta del cielo».«Spezzare il tetto della casa» è veramente un'espressione di valore universale: l'uomo sente, da sempre, la presenza del cielo, come ciò che è opposto alla gravità del suo corpo, come la dimensione in cui volano gli uccelli, istintivamente intuiti come messaggeri, o simboli di messaggeri tra i due regni. L'uomo deve risiedere nella terra, coltivare, edificare. Deve anche muoversi, partire, camminare lungo il pianeta e navigare sulle acque. Ma non deve e non può dimenticare la presenza del cielo, leggero, aereo, luogo di una realtà superiore, immateriale, che adombra un'esistenza definitiva, oltre e dopo la morte. «Spezzare il tetto della casa» può essere un motto quotidiano: ogni giorno possono esistere nella vita di chiunque momenti in cui ci si libra in alto, per provare il brivido del cielo che drammatizza la vita terrena, ma la riempie di senso e fondata speranza.
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