sabato 12 maggio 2007
Vorrei essere come una porta chiusa a invidia e avidità, aperta al dono e all'offerta. Una porta che allontana freddo e gelo, che protegge e fa incontrare. Una porta chiusa all'egoismo, aperta all'amore del prossimo e alla comprensione. Una porta che a te, Signore, offre una casa e agli altri amore, tempo e sicurezza. «Ogni casa è un candelabro, dove ardono in appartata fiamma le vite». Questo bellissimo verso di una delle prime poesie (1923) dello scrittore argentino Jorge L. Borges potrebbero essere un augurio e un motto per la giornata della famiglia che oggi si celebra a Roma. Passando per le strade di una città a sera, dietro le finestre illuminate si può pensare all'amore, alle gioie, alla generosità ma anche alle fatiche, ai dolori, alle crisi che entro quelle mura si celano. Le famiglie con le loro storie sono come fiamme che riscaldano il gelo di molte solitudini. Ma per raggiungere questo esito è necessario un impegno profondo e serio perché la famiglia non si riduca a una mera coesistenza sotto lo stesso tetto. Per descrivere questo compito ho voluto oggi proporre le belle parole che la liturgia nuziale luterana mette in bocca alla sposa come promessa nella sua missione familiare. Sono frasi limpide e da meditare perché le famiglie possano veramente sfavillare come «appartata fiamma». Al centro c'è il simbolo biblico e sociale della porta. Da un lato, essa deve chiudersi all'invidia, all'egoismo, all'avidità, altrimenti la sorgente intima dello stare insieme si inaridisce. D'altro lato, la porta deve aprirsi all'amore verso gli altri. Il calore e la luce della famiglia devono irradiarsi all'esterno nel mondo che è spesso oscuro e freddo.
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