venerdì 24 aprile 2015
Tre libri recenti mi hanno messo addosso una certa angoscia, per quel residuo adolescenziale di cui molti di noi soffrono che è la capacità di immedesimarsi nelle storie altrui che la letteratura migliore riesce a comunicare. Il primo è un racconto di Jack London, di cui non si finisce mai di apprezzare l'intelligenza sociale (anche per lui si trattava, ma con doti d'eccezione, della capacità di immedesimarsi nelle storie degli altri, e anche di saperle raccontare). Si chiama Chinago (Editoriale scientifica, Napoli), ed è la storia di un giovane tahitiano cui la giustizia coloniale taglia la testa confondendo il suo nome con quello di un altro, un vero assassino. Lui si chiama Ah Cho, l'assassino Ah Chow.Il secondo è un gioiello della letteratura latino-americana, Le scimmie (in originale El apando, la cella d'isolamento) di José Revueltas, uno scrittore messicano che fece due anni in carcere a Città del Messico, perché considerato tra gli ispiratori della rivolta degli studenti nel '68, dopo il massacro di piazza Tlatelolco voluto dal governo per stroncare il movimento. Lo pubblica Sur e non si può non averlo letto. Il terzo è Abolire il carcere, sottotitolo Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini (Chiarelettere) un documentato pamphlet scritto da Luigi Manconi, che da sempre si occupa dell'istituzione carceraria in chiave di giustizia e umanità, insieme a Valentina Calderone e Federica Resta, e a Stefano Anastasia, che è stato presidente di Antigone, l'associazione di assistenza e difesa ai carcerati fondata da Manconi. In questi libri si parla di giustizia e di pena in generale, senza considerazioni di età, ma si fa riferimento ai giovani. A me, che in tempi lontani ho lavorato per un'associazione di recupero legata al tribunale dei minorenni, viene sempre da collegare l'argomento carcere a quel che ho visto e capito allora a partire dalle esperienze dei giovani "criminali" o dei giovani "disadattati". Diceva Vittorio Foa, che di carcere se ne fece tanto (è citato qui da Zagrebelsky) che «il peso reale della detenzione consiste nel progressivo svanire della volontà col decorso del tempo». Manconi insiste sul fatto che il carcere non è sempre esistito, sull'intollerabilità della prigione, sulla sua inutilità rispetto ai fini che si propone, ed esamina tutte le soluzioni pensate altrove per sostituirlo. Un prezioso decalogo per l'abolizione del carcere.
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