martedì 21 gennaio 2014
Milano, gennaio. Le cinque di sera, è già buio e piove a dirotto. A ripensarci in una notte come questa, sembra un miraggio. A ottobre, sul morire dell'estate, Itaca. Quel mito attorno a cui mi ero affannata tanto a scuola, in una mattina radiosa eppure già impercettibilmente impallidita, l'ho visto finalmente. Ci ha portato da Cefalonia un vecchio pescatore. Il mare era calmo; il cielo, blu porcellana – eppure il sole già non più verticale, non più secante il mare dallo zenit della piena estate. Non c'erano altre barche nel piccolo porto, e solo qualche sfaccendato gabbiano. Il gran silenzio rotto dal ronzio del motore; e l'acqua, che a prua ci si divideva davanti, piatta, mansueta. «A Itaca, finalmente», ho detto agli amici – sorda su certi fastidiosi dubbi circa la corrispondenza della Itaca geografica con quella di Omero, di cui non volevo sapere niente.Dopo mezz'ora si è profilata la costa. Verde, petrosa. Da quel lato, deserta. Non sembri poi tanto cambiata, ho pensato. Un piccolo pontile, una spiaggia, nessuno. Il mare così calmo che lo sciabordio dell'acqua non fa rumore. Scendere a terra e dire fra sé: lo vedi, alla fine sono arrivata. La sabbia sotto ai piedi, l'acqua fresca ma sotto più calda, come se il gran corpo del mare si raffreddasse, morendo l'estate, lentamente. Colore verde chiaro e limpido, trasparente. Un mare come gli occhi di un bambino. Nuotare e sbalorditi pensare a Milano, già sbiadita di nebbie. Sdraiarsi sulla sabbia e scrutare quella costa selvatica e sassosa. Qui tornava Ulisse tanti anni dopo, qui il cane Argo, unico, lo riconosceva?La sabbia a ottobre ha ancora un materno tepore. Nella vegetazione vicino al molo un ibiscus, uno solo, di un rosso fiamma da Eden, è l'ultima immagine di Itaca, mentre ci allontaniamo segnando il mare di una scia schiumosa. Nella memoria in questa sera di inverno Itaca è una luce, sulla cui realtà non giurerei. Troppo raggianti i colori, e troppo calmo il mare, per esser vero. Me ne resta poi lo strano pensiero di essere "tornata", e non andata. Come se Itaca fosse un porto in cui, partiti in un tempo immemorabile, dobbiamo di nuovo approdare.A sedici anni, non capivo; solo adesso so la mia Itaca, davvero. È l'abbraccio di mia madre quando ero bambina, e il sonno che mi precipitava addosso in un attimo, in una culla che non posso ricordare, è il prato in cui arrischiavo i primi passi. O forse prima, prima ancora? Forse l'abbraccio indicibile, che non posso immaginare.
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