giovedì 20 dicembre 2018
Quand'ero bambina mia madre aveva una grande toilette con lo specchio. Sopra, in disordine, rossetti, matite, cipria. Quando usciva si truccava con cura. Gli occhi, già grandi, splendevano sotto alle ciglia allungate dal mascara. Le labbra rosso scuro risaltavano sul viso pallido. Alla fine, era un'altra. Assistevo meravigliata alla metamorfosi.
A dodici anni, anch'io seduta davanti a quello specchio, a mettermi il rossetto, per gioco. Ma sulla faccia da bambina quel rosso faceva pensare a carnevale: me lo lavavo via subito. A sedici anni, invece, scoprii che le ciglia scurite dal trucco rendevano più profondi gli occhi. Mi sorrisi nello specchio: ero una donna, e volevo essere bella. (Benché mi chiedessi perplessa perché le donne si dipingessero il viso, e gli uomini no).
Anche oltre gli ottant'anni mia madre continuò a truccarsi. Le ciglia nerissime, la bocca rosso carminio ormai erano una maschera drammatica, che mi riempiva di una segreta pena. Come si camuffasse, nascondendo il suo volto, e il suo antico mai guarito dolore.
Oggi mi guardo allo specchio al mattino, e ho smesso di truccarmi. Questa, così com'è, è la mia faccia. Non m'importa che ne pensa chi mi incontra. Ci legga quel che vuole. (Almeno in questo, mamma, sono in pace con me. Più nessuna maschera, da indossare).
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