mercoledì 10 maggio 2006
Veglia sovrana la chioccia: richiama/ i pigolanti batuffoli in lotta/ dei suoi pulcini: li raccoglie, li ama/ dilatata su tutti: or son contenti/ in un tepor di vita. Fuori annotta"
Nei giorni scorsi m'è accaduto di passare per una campagna e di sorprendere in una fattoria una scena che mi ha riportato alla mia infanzia in Brianza. In un cortile sterrato una chioccia «si dilatava» con le sue ali sopra una nidiata di pulcini, «pigolanti batuffoli in lotta» tra loro, per difenderli dal pericolo segnato dall'incombere della mia presenza. E così mi sono venuti in mente i versi iniziali di una poesia del grande Clemente Rebora (1885-1957), sacerdote e poeta che nel prossimo settembre sarò chiamato anch'io a commemorare nella splendida Sagra di S. Michele in Piemonte in un convegno a lui dedicato. Egli continua facendo subito capire che l'immagine è quella evangelica in cui Gesù si comparava appunto alla chioccia che invano aveva voluto raccogliere i pulcini riottosi (Matteo 23, 37). Io, però, vorrei solo fermarmi su una sensazione che ho provato e che penso sia comune di fronte a quella scena. Ed è quella di un sentimento spesso perduto ai nostri giorni: la tenerezza, la delicatezza, la dolcezza dell'amore. Dante, con la capacità folgorante del genio, la descrive nel suo mistero profondo, rivolgendosi nel Paradiso a Piccarda Donati, la donna costretta a forza a lasciare il monastero di S. Chiara per un matrimonio di convenienza: «La dolcezza senti che, non gustata, non s'intende mai» (III, 38-39). Bisogna sperimentarla in sé, ricevendola e donandola, per riuscire a capire cosa sia la tenerezza intensa e appassionata. Purtroppo a cancellarla ci pensa la superficialità e fin la brutalità sbrigativa delle relazioni personali in voga ai nostri giorni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: