venerdì 15 aprile 2005
Permettetemi di entrare nelle vostre case, vogliate vedere il Papa come ospite e amico vostro e dargli la consolazione di trovare nei vostri focolari l'unione, l'amore familiare che riposa dopo la giornata di fatica in un mutuo e affettuoso calore, come regnava nella Sacra Famiglia. «Ogni casa è un candelabro, dove ardono in appartata fiamma le vite».
Questa bella immagine che lo scrittore argentino J. L. Borges evocava, mentre passeggiava per una strada ignota della sua città, Buenos Aires, può fungere da sfondo alla frase che Giovanni Paolo II pronunziò in un discorso nel 1979. Egli chiedeva di essere partecipe di quel calore umano che pervade una famiglia con l'unione tra i suoi membri, l'amore, la condivisione di dolori e gioie, fatiche e speranze. E il suo pensiero correva alla famiglia di Nazaret. Sappiamo quanto cara fu al Papa la famiglia, quanta attenzione riservò alle sue crisi e difficoltà. È, questa, una delle tante eredità che egli ci lascia e che può spingere tante coppie cristiane a interrogarsi. Aveva ragione Montaigne, il celebre scrittore moralista francese, quando affermava che «governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno». L'impegno alla fedeltà, all'educazione, alla dignità economica e morale è certamente arduo. La fiamma dell'amore e della vita piò farsi esile e stentata, le anime si intirizziscono ed è necessario allora che, col Papa, nelle case entri chi egli rappresenta e indica, Gesù Cristo. Il pensiero corre proprio alle stupende parole del Cristo dell'Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (3, 20).
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