sabato 1 luglio 2006
Le illusioni cadono una dopo l'altra come la buccia di un frutto. Quel frutto è l'esperienza. Ha un sapore amaro, ma è qualcosa di aspro che riesce a fortificare. Tutti nella vita abbiamo addentato questo frutto aspro che si chiama
esperienza: esso si rivela nel suo sapore acidulo, dopo che abbiamo tolto la buccia che forse ci appariva dorata e attraente, come accade in certi frutti tropicali. Quella scorza era l'illusione e un po' tutti dobbiamo confessare che la strada del nostro passato è lastricata di delusioni, ossia di sogni infranti. È ciò che ci ricorda lo scrittore ottocentesco parigino Gerard de Nerval nella sua novella Angelica: la sua vita fu, infatti, romanticamente scandita da amarezze, a partire dalla perdita della madre a soli due anni, esperienza traumatica mai superata, per giungere alla morte dell'amata Jenny, un'attrice, e alla follia. Le delusioni possono avere un duplice effetto. Da un lato, rendono più realistici, impediscono i sogni vani di gloria, le fantasticherie infondate, le chimere e i miraggi a cui ci si aggrappa per evitare di guardare in faccia la realtà spesso brutale. D'altra parte, però, il disinganno può generare anche scoraggiamento, abbattimento, inerzia e persino disperazione. E, allora, non si devono mai coltivare illusioni? Certo, bisogna tenerle sempre sotto controllo, perché sono simili a cavalli sfrenati. Ricordiamo il monito di Machiavelli: «Non sai quanto poco bene si trova nelle cose che l'uomo desidera, rispetto a quello che ha presupposto di trovarvi?». Eppure un pizzico di utopia, di tensione verso l'alto, di desiderio (de sideribus, «dalle stelle»!) è assolutamente necessario per poter vivere, creare, sperare. Non spegniamo, perciò, del tutto la fiamma colorata del sogno!
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