venerdì 15 luglio 2011
Il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti senza eccezione. Terribile è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri.

Siamo abituati a considerarlo sgraziato e cupo, triste e malinconico, mentre fissa la luna in cielo. Eppure è Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone a celebrare la forza contagiosa del riso. È pur vero che la frase finale completa del testo che ho citato suona così: «Chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire». E qui ritroviamo l'anima profonda del poeta di Recanati. Ma già questo paragone riesce a far brillare la forza di un atto che è tipico dell'uomo, perché - come diceva un poeta spagnolo del Cinquecento, Francisco de la Torre - «solamente l'uomo ride e nessun altro animale», ma subito aggiungeva: «lui solo ride ma nessuno avrebbe più da piangere!».
C'è persino chi ha inventato la "risoterapia" nella convinzione che il sorriso abbassa la pressione, favorisce la digestione, riduce il colesterolo e così via fantasticando. Sta di fatto che in un mondo cupo e scontroso il sorridere radioso può aprire uno squarcio di serenità e di simpatia. In questo senso si diventa superiori agli altri, non con la prevaricazione dell'accigliato prepotente, ma con l'emanazione di una forza dolce e quieta. Detto questo, è anche vero quello che dice un sapiente biblico, Qohelet, quando in un verso che in ebraico è onomatopeico, afferma che «il riso dello stupido è come un crepitio di pruni sotto una caldaia» (7,6). Certe risate sguaiate e triviali assomigliano appunto a un crepitare sibilante di rovi che ardono e sono solo indizio di grossolanità e di volgarità. Non è più il sano umorismo, né il lieto sorridere: «l'uomo saggio - dice un altro sapiente biblico - sorride appena, sommessamente» (Siracide 21,20).
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