mercoledì 17 ottobre 2018
C'è ancora, in un cassetto segreto, un foglio ingiallito di carta con sopra incolonnata una fila di numeri: 22.45, 23.05, 23.19, 23.32...Le prime doglie, a intervalli sempre più serrati. A mezzanotte con mio marito andammo alla clinica Mangiagalli. Un portiere assonnato, un'ostetrica brusca: «Sala travaglio», sentii gridare. In barella per lunghi corridoi, sotto le luci giallastre del vecchio ospedale.
Le doglie incalzanti. Dalle stanze accanto grida di donne, acute. Noi due, al primo figlio, tesi come ragazzi a una severa prova d'esame. Poi, nella notte profonda, in sala parto. Il dolore che sale, che sembra insostenibile, che si dissolve. Ma ritorna, più forte. L'ostetrica che passa come un sergente fra le truppe: «Coraggio, figlia mia, ci siamo». Eco di grida ancora, da lontano, rotte da rabbiosi pianti di figli che venivano al mondo. È una battaglia il parto, e come in battaglia c'è sangue, dolore e paura. Ma è una battaglia al contrario: per far vivere, e non per far morire. La battaglia delle madri segue una legge antica: nel vertice del dolore si compie la vita, non la morte. Infine, aspro, il primo vagito. «Maschio!», gridò la vecchia ostetrica, nel chiarore dell'alba. Con lui in braccio io incredula, muta. Dalla strada, i rumori di Milano che si andava svegliando.
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