L'Italia scivola sull'olio degli altri
sabato 6 marzo 2010
Da un lato si cerca di difendere il buon nome e l'origine dei prodotti agroalimentari italiani, dall'altro si scivola su concessioni che vanno nella direzione opposta. È l'Italia " si potrebbe dire " ma una spiegazione di questo genere non sarebbe sufficiente. Soprattutto quando di mezzo ci vanno anche l'Ue, la tutela della salute e dell'igiene degli alimenti. L'ultima occasione per dimostrare di tutelare l'origine dei prodotti ma anche il contrario, è arrivata in questi giorni dall'olio di oliva. È una vicenda che ha del paradossale ma che è tremendamente vera.
La denuncia è dei produttori di Unaprol " il più importante consorzio olivicolo nazionale " che hanno spiegato: «In tempi di crisi di prezzo per l'olio extra vergine di oliva, lo Stato italiano si appresterebbe ancora una volta ad autorizzare il traffico di perfezionamento attivo (TPA)». Che, detto in linguaggio comprensibile, significa una cosa: in Italia presto arriveranno forti quantità di olio di oliva da lavorare nel nostro Paese e che poi verranno esportate. Un guaio grosso, perché la pratica del TPA è regolata da un vecchio Regolamento comunitario del 2001 che consente di attribuire l'origine del prodotto in base all'ultima trasformazione sostanziale. Peccato che " è stato fatto notare dai produttori " lo scorso anno l'Ue abbia approvato un altro Regolamento sull'indicazione di origine obbligatoria in etichetta: un provvedimento basato sulla provenienza della materia prima e non sulle trasformazioni di questa. Regole che, quindi, confliggono l'una con l'altra, che fanno male al comparto e che dovrebbero essere armonizzate imponendo, per esempio, anche per il TPA il rispetto delle indicazione di origine sulla base della materia prima.
Sul tema, tuttavia, sarebbe già stato interessato il Governo. Anche perché la pratica consente agli uffici delle Dogane e del Ministero dell'Agricoltura di rilasciare mediamente ogni anno autorizzazioni per oltre 120mila tonnellate di oli da
importare in Italia per essere lavorati. E non basta. Questa pratica, infatti, può essere autorizzata solo in presenza di particolari situazioni di mercato; quando, per esempio, vi sia, a livello comunitario, scarsità di prodotto,
oppure si registri un differenziale di prezzo troppo elevato tra prodotto comunitario e quello dei Paesi terzi. Condizioni che oggi, dice l'Unaprol, non esistono. Anzi, tutto ciò avverrebbe in un momento di grande crisi per il settore e non è difficile intravedere " dicono i coltivatori " nel mancato allineamento delle normative a livello comunitario
la possibilità di aggirare il sistema per importare, con la pratica del TPA oli di qualità diverse, che poi potrebbero diventare fraudolentemente olio extra vergine di oliva italiano. Un colpo basso per un comparto che vale 2.500 miliardi di euro, che coinvolge 700mila aziende agricole e riesce a produrre 30 milioni di
giornate lavorative ma che soffre di prezzi mediamente più bassi del 30% rispetto al normale.
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