giovedì 31 dicembre 2015
È stato per un caso, perché mi sono accorta l'altra mattina che la foto di mio padre nella cornice d'argento, in soggiorno, era impolverata. Nel passarla con un panno, mi è parso proprio di accarezzare la sua faccia. Mi sono fermata allora un attimo a guardarla meglio, quella faccia, con i solchi delle rughe e la pelle ingrigita dalla nicotina di due pacchetti di Nazionali "senza" al giorno; e una di quelle Nazionali brandita con avidità fra il pollice l'indice, come una prelibatezza. Lo sguardo assorto, buono, ma con un'ombra di malinconia segreta, dentro (perché viaggiavi tanto, e in posti sempre tanto lontani, e senza tregua, e tornato, subito, come sospinto da un vento interiore, ripartivi? Come uno che cerchi appassionatamente qualcosa, ma non sappia cosa). Ma, dunque, quel movimento della mano sulla foto è stato per un istante così uguale a una carezza, che mi sono fermata, il braccio a mezz'aria; e mi sono detta, via, sciocca, lo sai, che è una immagine, è solo carta. E tuttavia, mi sono detta ancora, cocciutamente, non importa: per una volta oserò varcare la soglia, che mi vieto, di ciò che non è razionale.E allora mi sono immaginata che mio padre in quella mattina nella casa vuota, i figli e il marito già usciti, mi accompagnasse attraverso le stanze. E sono stata certa che la nostra casa gli piaceva, col suo congenito disordine, con gli zaini dei ragazzi in giro, con la parete di libri in soggiorno dove non trovi, mai, il titolo che cerchi. Piaceva a mio padre il ciclamino candido sul balcone, nell'aria di polvere di Milano, e quelle piante di cui ignoro il nome, randagie, germogliate da sole. Apprezzava la cucina calda, cuore della casa e crocevia del caos, con le ciotole dei gatti in cui si rischia sempre di inciampare. Dava, mio padre, una carezza al cane, tenera, dopo aver saputo che è un bastardino raccattato al Sud, per un mio innamoramento incontrollabile; ammirava la bellezza del gatto fulvo, e di quello nero, enorme e immobile, gli occhi verdi fissi sullo sconosciuto visitatore. Piaceva, a mio padre, ritrovare in studio il suo letto di ottone, e, su una parete, la grande mappa ingiallita grazie alla quale ritornò dal Don. E poi, tornati a casa i nipoti, mi guardava felice e stupefatto: quella sua figlia irrequieta, malinconica, che mai aveva parlato di sposarsi, qualcosa di buono dunque lo ha combinato.Il suono di un cellulare, acuto, interrompe il nostro muto colloquio. La realtà spacca l'incantesimo, e mio padre torna a essere una foto, in soggiorno. Eppure mi è sembrato, per un momento, di averlo proprio qui, vicino. Il gatto nero mi fissa insistente: quasi che con quei suoi grandi enigmatici occhi verdi avesse visto tutto.
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