giovedì 5 maggio 2011
Si parla volentieri di ciò che si ignora.
Spesso gli uomini parlano benissimo di cose che non conoscono.

Prima scena. Sono in attesa in un aeroporto: uno schermo gigante trasmette un dibattito tra due "esperti" e il discorso sta scivolando verso un tema di natura religiosa. Aguzzo orecchi e attenzione e rimango impressionato da due diverse sensazioni: la chiara incompetenza in materia dei due e l'altrettanto chiara fermezza e sicurezza nell'asseverare senza la minima ombra di esitazione. Seconda scena. Questa volta in treno: nonostante gli appelli alla moderazione dei cellulari, ormai l'italiano medio viaggia e vive con un telefonino incorporato al padiglione auricolare. Sento un signore che spiega a un interlocutore l'attuale situazione socio-politica. Ecco un altro maestro di saccenteria ignorante.
Ma non ridiamo troppo. La verità che ho sopra espresso con due famose battute - la prima è dello scrittore francese Paul Valéry (1871-1945) e la seconda è di Voltaire - non di rado contribuiamo un po' tutti a dimostrarla attraverso la nostra piccola o grande arroganza, oppure attraverso l'approssimazione negli studi, la superficialità nella preparazione, l'inesperienza e l'ignoranza, coniugata però alla presunzione saccente. La più pericolosa sorta di stupidità è, infatti, quella di chi si crede sapiente e acuto. Egli veleggia, senza timore del ridicolo, con grande prosopopea, lanciando giudizi, offrendo consigli, dispensando analisi. E, attorno, molti o tacciono o condividono. Il vero conoscere, infatti, si raggiunge solo nella paziente, rigorosa e faticosa ricerca: è un'ascesi della mente e dell'anima (e persino del corpo).
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