L'elezione più delicata non si riforma a vanvera
domenica 19 dicembre 2021
Il prossimo 4 gennaio, come ha confermato il titolare della convocazione, il presidente della Camera Roberto Fico, conosceremo la data della prima riunione del Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, per l'elezione del presidente della Repubblica. Per ora è l'unico elemento certo di un percorso che a livello politico sembra fatto di passi tanto piccoli quanto frenetici, di fughe in avanti e di repentini dietro-front. Talvolta sembra quasi una corsa sul posto oppure l'attesa in surplace del ciclista che deve cogliere l'attimo utile per lo scatto decisivo. Altre volte – per rimanere sulle metafore sportive – si butta la palla in tribuna. Con tutto il rispetto per l'intrinseca serietà del tema, l'improvviso riaccendersi del dibattito sul presidenzialismo ha richiamato proprio l'immagine calcistica del difensore che, non sapendo come venire a capo di una situazione insidiosa e ingarbugliata, non trova di meglio che spedire la sfera di cuoio sugli spalti.
È singolare, ancorché legittimo, che a circa un mese dalla prima votazione per il Capo dello Stato (è probabile una data intorno al 20 gennaio) si lanci nella mischia politico-mediatica una radicale messa in discussione delle regole che stanno per essere applicate in uno dei più delicati tornanti istituzionali della vita repubblicana. Come se il problema fossero tali regole e non l'incapacità dei partiti a costruire un accordo ampio su una personalità dal profilo adeguato all'alto incarico. A onor di cronaca va rilevato che c'era già stato un assaggio recente con la suggestione gollista di un semi-presidenzialismo da introdurre "di fatto" secondo questo schema: Draghi va al Quirinale e da lì continua a guidare l'azione di governo. Altra storia è l'elezione popolare del presidente della Repubblica di cui si è tornati a parlare negli ultimi giorni. Non è una soluzione molto diffusa tra gli Stati dell'Europa occidentale confrontabili con l'Italia. Nel Regno Unito e in Spagna c'è la monarchia, in Germania il presidente è eletto dall'Assemblea federale. Solo in Francia è prevista l'elezione diretta (e si vota con il doppio turno). Negli stessi Stati Uniti, se vogliamo oltrepassare l'oceano, l'elezione presidenziale più importante del mondo è diretta solo per modo di dire in quanto fortemente mediata dalla struttura federale attraverso meccanismi di estrema complessità. Sull'argomento chiedere lumi a Hillary Clinton: nel 2016 prese quasi tre milioni di voti popolari più di Trump che però diventò presidente perché ottenne la maggioranza tra i 538 grandi elettori.
Un minimo di analisi comparata, sia pure così per cenni, è fondamentale. Ad ascoltare certe dichiarazioni sembra che solo in Italia sia precluso ai cittadini di scegliere direttamente il Capo dello Stato. Che poi nei sondaggi l'elezione diretta del presidente della Repubblica riceva consensi plebiscitari (è proprio il caso di usare questo aggettivo) non meraviglia più di tanto. Bisognerebbe chiarire innanzitutto di che cosa stiamo parlando. Si fa presto a dire presidenzialismo. Che tipo di presidente si andrebbe a eleggere? Con quali poteri? Con quale posizione nell'ordinamento? Con quali conseguenze sugli equilibri del nostro sistema repubblicano? Le riforme istituzionali sono una cosa seria e sarebbe saggio non parlarne in modo improvvisato o, peggio, strumentale. Tanto più in questo momento.
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