sabato 31 ottobre 2020
C'era una volta l'ateismo. E c'è ancora, ovviamente. Può assumere molte forme, dalle più "giocose" – "Grazie a Dio sono ateo" – a quelle più drammatiche, come ci ha purtroppo insegnato la storia, passando attraverso una vasta gamma di ateismi intellettuali, a volte saccenti, a volte irridenti. C'è anche un ateismo serio, che è quello di quanti «non affermano semplicemente: "Non esiste alcun Dio" [ma] soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso verso di lui. Sono "pellegrini della verità, pellegrini della pace"... Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c'è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa». Sono le parole con cui Benedetto XVI all'incontro delle religioni per la pace del 27 ottobre 2011 ad Assisi spiegava perché avesse invitato anche alcuni rappresentanti dell'ateismo. Ma di tutte le forme possibili di ateismo quella forse peggiore, la più irritante, quella che proprio «Dio non sopporta» è quella di molti presunti pii credenti, che sì pregano, e magari anche molto, ma all'atto pratico negano «l'immagine divina che è impressa in ogni essere umano», come ha detto Francesco una settimana fa durante l'udienza generale.
Si tratta di un vero e proprio «ateismo pratico», quell'«ateismo di tutti i giorni», di chi dice «io credo in Dio ma con gli altri tengo la distanza e mi permetto di odiare gli altri», di chi prega «tanti rosari al giorno» e poi odia il suo prossimo. Di più, perché «se uno dice: "Io amo Dio" e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede non può amare Dio che non vede. Se preghi tanti rosari al giorno ma poi chiacchieri sugli altri e poi hai rancore dentro, hai odio contro gli altri, questo è artificio, non è verità, non è consistente. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello».
Semplice, lineare, inequivocabile. Li conosciamo tutti, questi credenti sempre in prima fila, sempre pronti a battersi il petto, ma impermeabili alla pietas, a quel partecipare della condizione del proprio prossimo, indisponibili alla condivisione. Quelli che pregano «solo per essere ammirati dagli altri. Quelli o quelle che vanno a Messa soltanto per far vedere che vanno a Messa, che sono cattolici, o far vedere l'ultimo modello che hanno acquistato, per fare buona figura sociale, vanno a una preghiera fasulla». Per papa Francesco di fronte a questi «atei» che si presentano come credenti non ci sono possibili distinguo, né ma né però: «Non riconoscerla, la persona umana come immagine di Dio, è un sacrilegio, è un abominio, è la peggior offesa che si può recare al tempio e all'altare». E per questo, allora, «la preghiera dei salmi ci aiuti a non cadere nella tentazione dell'empietà, cioè di vivere, e forse anche di pregare, come se Dio non esistesse, e come se i poveri non esistessero».
Parole forti, senza dubbio, ma impossibili da non condividere. Almeno per chi veramente crede, e si sforza ogni
giorno di testimoniarlo.
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