mercoledì 8 agosto 2007
L'ambizione s'attacca più facilmente alle anime piccole che alle grandi, come il fuoco si appicca più facilmente alla paglia e alle capanne che ai palazzi.
Stando in quiete in questi giorni, forse ci è possibile dare uno sguardo più pacato e oggettivo all'anno che abbiamo finora trascorso, coi suoi impegni, le fatiche, le preoccupazioni ma anche coi suoi risultati positivi, i successi, le gioie. Ebbene, se siamo sinceri, è facile che dalle nostre azioni affiori proprio quella debolezza tutta umana che si chiama ambizione, figlia dell'orgoglio. Essa s'attacca come un'edera a un'anima egoista, piccina, gelosa e lentamente la soffoca. È ciò che suggerisce in una delle sue Massime e pensieri " quella citata oggi " lo scrittore moralista francese settecentesco Nicolas de Chamfort. Tuttavia bisogna badare bene a quella sua semplice espressione «anime piccole» e «anime grandi».
Gli aggettivi sono qui usati in senso morale e non sociale: è per questo che io ho corretto l'aggettivo «piccole» in «piccine», nel senso di anime grette, meschine, basse, così come «grandi» significa anime nobili, magnanime, generose e non quelle dei potenti o dei personaggi famosi. L'ambizione, infatti, intacca tutti, anche quelli che già hanno successo, ma non si placano, perché vorrebbero sempre di più, sotto l'impulso di una brama che non si spegne mai. Questo desiderio assoluto di prevalere diventa una smania ed è, alla fine, compagno anche di tante frustrazioni e delusioni. Ritrovare un po' più di modestia e di semplicità è, allora, un antidoto anche contro certi bocconi amari che l'ambizione ci prepara come mensa finale.
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