sabato 13 ottobre 2018
Se non fosse una cosa in sé tristissima, verrebbe da dire: come volevasi dimostrare. E voltare pagina. Perché l'ultima “puntata” dell'ormai annosa questione delle folli accuse lanciate da monsignor Carlo Maria Viganò – con l'attiva complicità di alcuni giornalisti – contro Papa Francesco non ha fatto altro che confermare quello che era chiaro fin dall'inizio. Ovvero la volontà di calunniare il Pontefice, solo questo, alzando un gran polverone mediatico nella speranza distorta che, di quella sporcizia, qualcosa resti attaccato alla veste bianca di Bergoglio.
La vicenda, purtroppo, è nota. In due riprese l'ex Nunzio apostolico negli Stati Uniti ha accusato Papa Francesco di aver “coperto” per alcuni anni il cardinale americano McCarrick colpevole di abusi sessuali, chiamando poi direttamente in causa, nella sua seconda uscita, il Prefetto della Congregazione dei Vescovi, il cardinale Marc Ouellet. Il quale qualche giorno fa ha risposto a Viganò, smontando punto per punto lo stralunato scenario inventato dallo stesso, a cominciare dal negare l'esistenza presso la Congregazione di quel “dossier alto così” sul cardinale (non più tale dopo che Francesco l'ha rimosso dal Collegio) americano, dossier che era il pezzo forte delle accuse dell'arcivescovo. Mai esistito, nessuna traccia neppure tra le carte del precedente Prefetto, il cardinale Giovanni Battista Re, e nessuna traccia neppure degli altri fantomatici documenti evocati da Viganò. Il Papa, ha aggiunto Ouellet, ha chiesto di continuare a indagare e di verificare se a suo tempo ci siano state carenze o leggerezze. Di certo al momento c'è il fatto che quelle raccontate da Viganò sono un cumulo di bugie “a fine politico”, di cui l'autore dovrebbe fare pubblicamente ammenda e chiedere perdono.
Parole chiare, molto dure, definitive. Ma che ovviamente, come prevedibile, non hanno fermato l'aggressione a Francesco. Anzi. Glissando sul merito delle puntuali contestazioni di Ouellet, e infarcendo di grottesche elucubrazioni lunghissimi articoli pieni di “ma”, “però in realtà... ”, “se” (a Roma si dice: “buttandola in caciara”), i fiancheggiatori (se non ispiratori) di Viganò hanno provato e continuano a provare di rivoltare la frittata. Tentativo consentito dalla tecnica stessa con cui questo attacco proditorio è stato portato, come già spiegato un mese fa. Nel diritto dell'onere della prova spetta infatti all'accusa; se l'accusa però non porta nessuna prova ma va solo millantando documenti inesistenti, è chiaro che chi smentisce non può che dire “quello di cui parli non esiste”, offrendo il fianco alla reiterazione della accusa che, a sua volta, può affermare che la smentita “è indirettamente una conferma”. Quanto possa durare questo gioco dipende solo, alla fine, da quanto spesso è il bronzo sulla faccia di chi l'ha iniziato.
Una vicenda tristissima, dicevamo all'inizio. Ma, anche, rivelatrice di che cosa ci sia in realtà in ballo. Perché non solo, o non tanto, Francesco è l'obiettivo, ma una visione della Chiesa che dal Concilio in avanti non dovrebbe essere più in discussione. E invece lo è, da parte di quei pochi che ancora considerano la Chiesa “superiore” al mondo (perché ne hanno paura) e antepongono la norma alla legge dell'amore, perché non vogliono la libertà degli uomini ma controllarli. Una visione agli antipodi della Chiesa di Giovanni Paolo II, di Benedetto e di Francesco i quali, radicandosi in Paolo VI, hanno tracciato un percorso di dialogo con il mondo orientato alla speranza, forte nella fede, ispirato dalla carità. Una Chiesa dove le tre virtù teologali sono non astrazione, ma vissuto quotidiano. Una Chiesa che non saranno le livorose, calunniose menzogne di qualcuno con smanie di rivalsa a poter mettere in discussione.
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