martedì 14 gennaio 2003
La vita del borghese è basata sulla proprietà, cioè sul senso di solidità del benessere. Preoccupazione del cristiano è di essere, scopo del borghese è di avere. Quando il borghese dice: mia moglie, la mia automobile, le mie terre, quel che conta per lui non sono la moglie, l'automobile, le terre, ma l'aggettivo possessivo che per lui prende carne. No, non è Marx a scrivere questo duro j'accuse contro la borghesia, bensì un filosofo cristiano di forte passione spirituale, il francese Emmanuel Mounier (1905-1950), nella sua opera più originale, Rivoluzione personalista e comunitaria (1935). Siamo tutti d'accordo nel riconoscere alla borghesia classica, alla sua cultura, alla sua incidenza sociale molti risultati importanti nel configurare il volto della civiltà occidentale. C'è, però, uno "spirito borghese" che spesso si è trasformato in una teorizzazione dell'egoismo, del benessere fine a se stesso, del possesso intoccabile, dell'insensibilità sociale. Come scrive Mounier, è l'aggettivo possessivo a dominare e a dare colore e valore a tutte le realtà. Sappiamo bene dove conduca questa strada, se non è corretta dall'amore. È per questo che la prima parola che Dio rivolge ad Abramo è proprio l'esatto contrario di una simile attitudine: «Esci dalla tua terra, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre!» (Genesi 12, 1). E Gesù fa andare per il mondo i suoi discepoli leggeri come il vento: «Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (Matteo 10, 9-10). È con questa libertà che si è capaci di passare oltre l'aggettivo possessivo per scoprire la persona e la comunione.
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