giovedì 16 settembre 2004
Un giorno, nella stagione più ariosa, il re uscì dal castello senza accompagnatori, e con calma e tra la meraviglia dei passanti si diresse al porto. Entrò nella casa di un umile pescatore e gli disse: «Ecco la mia corona, te la cedo, ti nomino mio successore». Il povero non capiva e rifiutò tanto onore: «Non voglio cambiare la mia vita», disse. Intanto a corte si era riunito il Gran Consiglio e già aveva provveduto a eleggere successore il figlio del re. Da quel giorno il re, divenuto povero, vagò per il mondo. Questa parabola è in apertura a una raccolta di piccoli saggi sulla poesia contemporanea di uno dei nostri migliori poeti contemporanei, Cesare Viviani, La voce inimitabile (Il Melangolo). L'autore spiega anche il significato che egli attribuisce al racconto con una battuta finale: «Ciò che era accaduto nella mente del re avrebbe dovuto interessare a tutti, e invece non interessò a nessuno». Le profonde intuizioni, le vere svolte nella vita, i valori più alti non penetrano nel grigiore della folla e nella superficialità dei mediocri. Destino, questo, anche della poesia, della verità, della fede. Ma io vorrei ora, più immediatamente, evocare due altre riflessioni. Da un lato, è suggestiva la risposta del povero: egli è sereno e non ha bisogno di cambiare la vita barattando la sua pace con una corona d'oro. Quanto pochi sono coloro che sanno resistere a quel cambio, vera e propria tentazione satanica! D'altro lato, il successore sul trono è già pronto, automatico e scontato. Il potere si rigenera senza posa, non conosce ripensamenti o sorprese, dubbi o esitazioni, ma procede imperterrito senza rimorsi.
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