sabato 21 febbraio 2004
Non è l'abbondanza del sapere a saziare e soddisfare l'anima, ma lo è il sentire e gustare le cose internamente. Oggi attingo a uno dei classici della spiritualità, quegli Esercizi spirituali che Ignazio di Loyola compose nel 1548 e che costituirono il punto di riferimento ascetico e mistico non solo per i gesuiti ma per legioni di fedeli che, nel silenzio, nella preghiera e nella meditazione, volevano ritrovare Dio e se stessi. La frase citata è limpida nel suo appello a passare oltre la superficie delle cose e degli eventi per penetrare "internamente" nella realtà. S. Ignazio in pratica contrappone due percorsi mentali e spirituali. Da un lato, c'è l'accumulo "orizzontale" delle cose e delle conoscenze. E' un po' l'atteggiamento della nostra società che ama il possesso esteriore, l'attrezzatura più sofisticata che renda la vita ricca, soddisfatta e sicura nel suo procedere. D'altro lato, c'è invece l'approfondimento "verticale" per cui si scelgono le realtà essenziali e in esse si scava sempre più intimamente. Si ha, per certi versi, il contrasto tra Marta e Maria, la prima «tutta presa dai molti servizi», l'altra tesa verso «l'unica cosa di cui c'è bisogno». Maria, attraverso l'ascolto, riesce a dare un senso più alto anche al lavoro che è chiamata a compiere, lo illumina e lo trasfigura. E', dunque, fondamentale quell'avverbio "internamente" soprattutto oggi quando è facile vivere "esternamente", evitando di ritornare in se stessi e di "sentire e gustare le cose" nella loro essenza intima, nel loro significato autentico. E' questa la vera sapienza del cuore da implorare a Dio più dell'intelligenza e dell'abilità.
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