sabato 28 dicembre 2002
L'innocenza non è una perfezione della quale si debba desiderare il ritorno. Desiderarla, infatti, significa che si è già perduta. E allora è un nuovo peccato perdere il tempo in desideri. Festa dei Santi Innocenti: sappiamo tutti che oggi la liturgia commemora quel sangue versato attorno alla culla di Gesù bambino, emblema di una scia infame di violenze che colpiscono gli innocenti di tutti i tempi, striando di lacrime e sangue la storia dell'umanità. Di altro genere è la riflessione che oggi proponiamo, basandoci su un passo del Concetto d'angoscia del filosofo danese ottocentesco Soeren Kierkegaard, da noi spesso convocato in questo spazio mattutino. Si leggano attentamente quelle tre frasi. La prima ci ricorda che l'innocenza non è mera assenza di colpa, ma pienezza e perfezione di vita, di fede e di amore. Per questo è innanzitutto un dono, una grazia. Secondo: se noi ne sentiamo il desiderio e la nostalgia, è segno che l'abbiamo perduta e quindi non c'è in noi quiete e serenità, pace e fiducia. Terza osservazione: a questo punto è inutile perdersi in malinconie e in sospiri; è necessario, invece, ritornare a chiederne la grazia a Dio e a preparare lo spirito perché accolga l'innocenza ridonata. Come confessava in una sua lettera lo scrittore cattolico francese Georges Bernanos, «ho perso l'innocenza e non la potrò riconquistare se non attraverso la santità». È aprendoci a Dio, alla sua luce e alla sua azione che il nostro cuore tornerà ad essere innocente, puro e trasparente come una sorgente.
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