mercoledì 19 novembre 2003
L'uomo moderno pensa di perder tempo quando non fa le cose in fretta. Tuttavia non sa poi cosa fare del tempo risparmiato se non ammazzandolo. «Ammazzare il tempo» è un'espressione forte che è anche nelle altre lingue (to kill time, tuer le temps, ad esempio) e riflette spesso il paradosso segnalato dallo psicanalista tedesco Erich Fromm (1900-1980) nella sua opera più fortunata, L'arte di amare, da cui abbiamo tratto l'odierna citazione. Da un lato, infatti, il grande comandamento è quello di non perder tempo, di agire con celerità, di non lasciare tregua a se stessi finché non si sono raggiunte le mete prefissate, ignorando tutto il resto, "drogando" i ritmi stessi del corpo. «Il tempo è denaro!», ci si ripete fin da quando eravamo bambini. D'altro lato, però, quando si è finalmente giunti ad avere tempo libero e disponibile, non si sa più che cosa farne, è come un giocattolo inutile e allora ecco entrare in scena la frase citata: ci si rassegna ad "ammazzare il tempo", a tirar sera, ad aspettare di ritornare ad agitarsi. La ragione ultima di questa contraddizione sta proprio nell'incapacità di vivere il tempo, senza esserne o esterni o schiavi. Equilibrare le scansioni, ritrovare "tempi e momenti" per ogni azione, come diceva il Qohelet biblico, essere capaci di agire e di riflettere, di lavorare e di coltivare interessi più liberi e creativi, vivere i giorni feriali e godere quelli festivi, immergersi nelle cose e ritrovare se stessi nella preghiera e nel silenzio: è questa la difficile arte di vivere il tempo. Mi è sempre piaciuta una battuta del famoso romanzo Gargantua e Pantagruel di Rabelais che, riscrivendo il detto di Gesù sul sabato, affermava: «Le ore sono fatte per l'uomo e non l'uomo per le ore».
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