martedì 25 luglio 2006
L' essere più infelice del mondo è colui nel quale la realtà più abituale e praticata è l"indecisione.Ecco un tema che credo di aver trattato raramente negli oltre quattromila "Mattutini" che stanno alle mie spalle: l"esitazione non come ponderazione seria e motivata («caratteristica dell"intelligenza», la definiva Henri de Montherlant, scrittore francese), bensì come sostanziale incapacità di scegliere, indecisione appunto. È, questa, una malattia dell"anima che ha soprattutto un effetto, come afferma nella frase citata il filosofo americano William James: l"infelicità. Chi non sa optare per una scelta, rimanendo sempre al di qua dell"agire, si trova in una insicurezza permanente che lo tortura e lo rende agitato e insoddisfatto.Credo che tutti nella vita abbiamo incontrato almeno un esemplare di questa sindrome spirituale: persone, forse, dotate di grandi qualità che non combinano nulla perché non vogliono mai rischiare una decisione, vedendone il negativo possibile. Certo, un aiuto potrebbe essere il consiglio e il sostegno di una persona amica; ma spesso neppure con accanto una simile presenza costoro riescono a superare il loro dubbio permanente, la loro titubanza sistematica, la radicale insicurezza del loro io, il costante tentennamento della loro volontà. Siamo, quindi, in presenza di un fenomeno umano delicato che non dev"essere irriso perché trascina con sé infelicità e amarezza. Tuttavia, in finale, vorrei ricordare a chi non è afflitto da questo limite, una battuta del prologo di un dramma di Brecht, L"anima buona di Sezuan: «Esitare va sempre bene, purché poi tu faccia quello che devi fare». Un po" di riflessione e cautela è, infatti, sempre necessaria.
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