sabato 16 marzo 2019
Quando, di una persona vogliamo mettere in risalto, in positivo, il suo modo di porsi nel fare le cose, diciamo spesso: "Si vede che la sua è una vocazione". Qualunque sia l'attività della persona in questione, metterne in risalto la vocazione ce la fa distinguere da chi quella stessa cosa la fa in maniera automatica, senza nessuno slancio né passione, senza "trasmettere" nulla. È, questo, un qualcosa di valido per tutti; ma se, solo per fare un esempio, uno può essere un bravo medico anche se non ha scelto tale professione per vocazione, più difficile è pensare a un prete, o a un religioso senza quella che, alla fine, è ciò che li distingue, o dovrebbe distinguerli. Perché, come ha scritto papa Francesco nel suo messaggio per la prossima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che ha il tema "Il coraggio di rischiare per la promessa di Dio", la vocazione non è «una gabbia», né «un peso che ci viene caricato addosso», e neppure «un'ingerenza di Dio nella nostra libertà». Al contrario, «è l'iniziativa amorevole con cui Dio ci viene incontro e ci invita ad entrare in un progetto grande, del quale vuole renderci partecipi», e di cui ogni chiamato deve farsi testimone. Del resto, come osservato da Benedetto XVI nel 2011, «la testimonianza fedele e gioiosa della propria vocazione è stata ed è un mezzo privilegiato per risvegliare in tanti giovani il desiderio di seguire i passi di Cristo, come pure il coraggio di proporre con delicatezza e rispetto la possibilità che Dio chiami anche loro. Spesso la vocazione divina si fa strada attraverso una parola umana o grazie a un ambiente in cui si sperimenta una fede viva». Per questo allora, per accogliere quella chiamata, «occorre mettersi in gioco – afferma oggi Bergoglio – con tutto sé stessi e correre il rischio di affrontare una sfida inedita… bisogna lasciare tutto ciò che vorrebbe tenerci legati alla nostra piccola barca, impedendoci di fare una scelta definitiva; ci viene chiesta quell'audacia che ci sospinge con forza alla scoperta del progetto che Dio ha sulla nostra vita». È proprio questo, d'altra parte, quello che accadde ai primi discepoli chiamati da Gesù presso il lago di Galilea, le due coppie di fratelli pescatori, Simone e Andrea con Giacomo e Giovanni: «In questo mestiere faticoso, essi hanno imparato le leggi della natura, e qualche volta hanno dovuto sfidarle quando i venti erano contrari e le onde agitavano le barche. In certe giornate, la pesca abbondante ripagava la dura fatica, ma, altre volte, l'impegno di tutta una notte non bastava a riempire le reti e si tornava a riva stanchi e delusi... sono queste le situazioni ordinarie della vita, nelle quali ciascuno di noi si misura con i desideri che porta nel cuore... Talvolta si gode di una buona pesca, altre volte, invece, bisogna armarsi di coraggio per governare una barca sballottata dalle onde, oppure fare i conti con la frustrazione di trovarsi con le reti vuote». Ma sempre, in tutte le circostanze, dobbiamo essere consapevoli che Cristo è sempre al nostro fianco e che ogni chiamata è frutto di un incontro con Lui. «È successo così con la persona con cui abbiamo scelto di condividere la vita nel matrimonio, o quando abbiamo sentito il fascino della vita consacrata: abbiamo vissuto la sorpresa di un incontro e, in quel momento, abbiamo intravisto la promessa di una gioia capace di saziare la nostra vita». È per questo che i religiosi sono «portatori di una promessa». La promessa di un Dio d'amore che vuole «che la nostra vita non diventi prigioniera dell'ovvio, non sia trascinata per inerzia nelle abitudini quotidiane e non resti inerte davanti a quelle scelte che potrebbero darle significato». Che, insomma, sia capace di "trasmettere" qualcosa.
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