sabato 12 febbraio 2005
  i sono momenti in cui, quale sia l"atteggiamento esteriore del corpo, l"anima è in ginocchio.Frase di per sé ambigua, questa del più famoso romanzo di Victor Hugo I miserabili (1862). Stare in ginocchio, sia interiormente sia fisicamente, può infatti essere anche soltanto un segno di sottomissione al potere o di depressione, riconoscendosi sconfitti oppure diventando adulatori. Purtroppo è, questa, una tentazione frequente e sotto le ginocchia si mette la propria dignità e talora persino la decenza, pronti a diventare servi untuosi e ipocriti pur di ottenere quella briciola di successo, di benessere o di potere che tanto è ambita e sognata.Il senso che, però, Hugo attribuisce alla sua frase e che noi ora vorremmo esaltare è antitetico e positivo. Non è sempre necessario far trasparire dall"esterno la nostra dedizione spirituale a una causa. Questo dovrebbe accadere per la stessa fede che, certo, ha bisogno di testimonianza visibile, ma la cui radice è intima e profonda. Il vano prostrarsi in un culto magniloquente e l"arroganza di un cuore superbo sono in evidente contrasto. Onorare Dio con le labbra e avere il cuore lontano da lui, come annunciava il profeta Isaia, è uno sbeffeggiare la religione: «Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi; anche se moltiplicate le preghiere, io non le ascolto, perché le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia»(1, 15-17). Solo così l"anima sarà in ginocchio, in un"adorazione genuina gradita a Dio, anche se il corpo sarà impegnato nella società, nel lavoro e nella quotidianità.
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