venerdì 3 maggio 2019
Siamo abituati a valorizzare la cura in termini etici, ma non in termini economici. E questo crea ingiustizie di fondo nell'organizzazione delle nostre società. Sulla bilancia, carichiamo tutto il peso sul piatto della produttività, come se la madre che si prende cura dei figli, le famiglie che curano i propri anziani, o le moltitudini di volontari che dedicano gratuitamente parte del loro tempo a ogni genere di causa umana non generassero un valore reale e indispensabile al nostro vivere comune. Su questo richiama l'attenzione la filosofa canadese Jennifer Nedelsky, che ritiene urgente superare la situazione attuale. Nedelsky partecipa da molti anni al dibattito su un diverso inquadramento (anche economico) delle relazioni sociali tra uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri. E mette in guardia che, senza un nuovo equilibrio tra la cultura e del lavoro e quella della cura, sarà la democrazia a pagare drammaticamente il conto. Nel suo progetto, per esempio, le ore settimanali di lavoro dovrebbero diminuire affinché, in contropartita, ogni adulto possa dedicarsi alle arti della cura, e ciò venga a essere ricompreso nella sua remunerazione finale. La stessa idea di quello che è il successo va modificata, pena il rimanere degli analfabeti nelle dimensioni umane fondamentali. Il termometro dell'eccellenza deve essere la vita integrale, non unicamente il lavoro produttivo.
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