giovedì 6 gennaio 2005
La gente santifica le feste: i ricchi sedendosi a tavola, i poveri digiunando.
Le feste natalizie con l'Epifania si avviano al loro epilogo. In tutte le religioni il far festa comprende anche un aspetto conviviale che è espressione della comunione tra anima e corpo e delle persone tra loro. Al termine della lettura della Legge davanti al popolo ebraico riunito alla Porta delle Acque di Gerusalemme, il sacerdote Esdra e il governatore Neemia esortano il popolo commosso e pentito per le proprie colpe così: «Questo giorno è consacrato al Signore, non fate lutto e non piangete" Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che non hanno nulla di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate perché la gioia del Signore è la nostra forza!» (Neemia 8, 9-10). Significativo è quell'appello a «mandare porzioni» ai poveri, perché tutti, e non solo i benestanti, possano festeggiare. Purtroppo spesso, anche tra i cristiani, l'egoismo e il quieto vivere hanno il sopravvento e, con la scusa che non si può pensare a tutti né sfamare ogni misero della terra, ci si mette a tavola senza remore (le abbuffate sono, infatti, il solito tema dei servizi televisivi natalizi). A ricordarci il digiuno dei poveri durante le feste è la battuta sopra citata del poeta scozzese (ma nato nel 1915 in Nuova Zelanda) Sydney G. Smith, morto nel 1975. Certo, la nostra piccola rinuncia, il gesto modesto è solo una goccia nell'oceano della miseria di tante persone. Ma è proprio di gocce che è fatto anche il mare del bene e della generosità: se nessuno facesse mancare la sua goccia, esso sazierebbe l'immensa distesa della povertà.
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