mercoledì 24 agosto 2011
Il vino mi spinge, / il vino folle che fa cantare anche l'uomo più saggio / e lo fa ridere sguaiatamente, lo costringe a danzare / e gli tira fuori parole che sarebbe meglio tacere.

Il calice di vino scintillante è una tentazione che spesso conduce per mano dolcemente verso una china inarrestabile, le cui tappe sono solo scandite dall'appello che il poeta greco Alceo (VII-VI sec. a. C.) aveva formulato così: «Su, presto, riempite di nuovo il cratere di vino soave!». Oggi, come si saranno accorti alcuni lettori, siamo risaliti nientemeno che a Omero, perché i versi sopra citati sono dell'Odissea (XIV, 463-466) e rappresentano in modo icastico la degenerazione che l'alcol può produrre anche nel saggio. Un altro autore dell'antichità, il latino Seneca, all'amico Lucilio scriveva: «L'ubriachezza accende e porta alla luce tutti i vizi, togliendo quel senso del pudore che è un freno agli istinti perversi».
Ecco, lasciando tra parentesi gli eccessi gastronomici delle vacanze, vorrei puntare l'attenzione proprio sul "senso del pudore" che l'alcol (per non parlare poi della droga) ti fa smarrire. Certo, c'è anche l'innamoramento che talora può far perdere testa e dignità: chi non ricorda il professor Rath del film L'angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg e la sua caduta precipite con la perdita di ogni dignità? Ma sono gli eccitanti esterni ad annebbiare la mente in modo feroce, fino a inquinare lo stesso corpo, intossicandolo. Contemporaneamente è anche l'anima ad essere avvelenata, e il segno più devastante è proprio la perdita del pudore, del decoro, del ritegno e della misura. È, questa, una delle bandiere purtroppo ostentate senza decenza ai nostri giorni. E alla fine resta sul campo l'uomo o la donna descritti da Omero, senza dignità, solo ridicoli e abietti.
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