giovedì 18 giugno 2020
La parola alfabeto fa pensare immediatamente al linguaggio: comprendere le parole che riguardano gli affetti e approfondirne il vero significato è ciò che permette di uscire dai malintesi e dalle manipolazioni, ritrovando lo spessore prezioso delle relazioni. Ma il primo alfabeto a disposizione dell'uomo non è fatto di parole; prima che le parole diventino intelligibili, non solo gli affetti ma anche la conoscenza utilizzano altri canali: sono infatti i cinque sensi le porte di accesso per tutte le informazioni che ci sono necessarie, ed è attraverso i sensi che facciamo esperienza del mondo e delle relazioni. Tra tutti i sensi, che hanno una loro specificità, il tatto si distingue per essere un senso "diffuso", che costruisce in qualche modo il "clima di fondo" sul quale tutti gli altri sensi si organizzano. La percezione tattile è molto complessa, e non riguarda solo le sensazioni di superficie: attraverso il tatto percepiamo piacere, dolore, temperatura, vibrazione, consistenza degli oggetti, ma anche pressione, forma, movimento, posizione del corpo nello spazio. Inoltre, attraverso la pelle, luogo privilegiato del tatto, noi percepiamo il confine del nostro corpo con la sua identità, e insieme la possibilità di essere in contatto con gli altri e con la loro identità: un concetto espresso dallo psicoanalista Didier Anzieu con la metafora suggestiva dell'"Io-pelle". Alla nascita tutti i nostri sensi devono confrontarsi con grandi cambiamenti percettivi, che richiedono un tempo di adattamento: c'è la novità della luce, la nuova intensità dei suoni, quella degli odori e dei sapori del mondo extrauterino. Ma anche l'esperienza tattile cambia, perché si passa dalla gradevole umidità e temperatura del liquido amniotico al secco dell'aria, dalla fluidità del movimento nell'acqua al senso di gravità del corpo nello spazio. È uno spazio improvvisamente aperto, privo di protezione, fonte di smarrimento per il nuovo nato; ciò che lo placa e gli dà conforto è allora il contatto con la pelle della madre, il contatto con un altro corpo che abbraccia, che accarezza, che contiene, facendo in questo modo percepire l'esistenza buona di un confine sicuro. Per un tempo molto lungo lo scambio di messaggi affettivi tra il neonato e le persone che se ne prendono cura è mediato dal con-tatto; il sorriso, il tono della voce, il sapore buono del latte, da soli non potrebbero bastare: l'essere umano ha bisogno di venire toccato e di toccare, di venire abbracciato e di abbracciare. C'è dunque nel mondo degli uomini un secondo alfabeto, che accompagna e integra quello verbale: un alfabeto che richiede prossimità spaziale e non può accontentarsi di quella virtuale. Abbiamo bisogno di stringerci la mano, di batterci sulla spalla, di accarezzarci, e l'amore e l'amicizia non sarebbero immaginabili senza il contatto dei corpi. Inoltre, nei momenti di difficoltà o di fragilità, è attraverso questo canale di comunicazione non verbale che possiamo ricevere rassicurazione e conforto, ben più che attraverso le parole: lo sanno le persone malate, che desiderano trovare chi sappia concretamente accudire con amore il loro corpo reso vulnerabile dalla malattia e sentono il bisogno di
presenze concrete, anche se silenziose; lo sa la persona morente, che ha bisogno della stretta sincera di una mano amica e non di parole che cerchino di nascondere o negare la verità e la serietà di ciò che accade. Ma proprio come le parole, anche i gesti hanno bisogno di una crescita di consapevolezza; anche l'alfabeto dei gesti può e deve venire progressivamente arricchito e affinato, per diventare sempre più capace di veicolare significati personali, modulati nel modo più adatto ad ogni relazione.
Il tempo che viviamo ci ha reso diffidenti verso i gesti più semplici e spontanei con i quali eravamo soliti entrare in contatto, e tutti ne avvertiamo la mancanza; speriamo che questo possa aiutarci a dare loro un nuovo valore e a gustarne il sapore in modo più consapevole e grato.
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