Il ritorno di Blanchot, mistico e oscuro
venerdì 17 gennaio 2020
Apro Il libro a venire di Maurice Blanchot (1907-2003), che con Lo spazio letterario affascinò fino a ipnotizzare i lettori italiani degli anni Sessanta e Settanta, e ritrovo il clima letterario di allora. La Francia aveva dominato a lungo la cultura letteraria europea non soltanto imponendo come centrale e imprescindibile la propria tradizione, sempre oscillante fra purezza classicista e anarchia formale, culto delle regole e culto della trasgressione: aveva dominato anche rielaborando ed estremizzando alcuni aspetti della cultura letteraria e filosofica tedesca, quelli più esoterici e mistici (da Novalis a Heidegger), nella costruzione di un'idea di letteratura insieme abbagliante e oscura, fatta di perentorie evidenze e di interrogativi senza risposta. Il Saggiatore ripropone ora quei due libri di Blanchot, due classici dell'ultimo periodo in cui la Francia è stata protagonista in Europa e in Occidente con autori come Bataille, Lacan, Lévi-Strauss, Blanchot, Barthes, Deleuze, Foucault, Derrida, Baudrillard. Era appunto l'epoca in cui l'idea di letteratura sembrò più importante della letteratura stessa perché era diventata un “mito teorico”, il mito di un linguaggio assoluto, separato da quello comune, il solo in cui l'“essere” si incarnasse al di fuori di ogni convenzione e istituzione sociale scardinandone o sospendendone il carattere normativo e repressivo. Si trattava di un mito, appunto, sia letterario che filosofico, sia politico che semiologico. Gli attuali pensatori formatisi in quel clima continuano a predicare in linguaggio cifrato una misteriosa eversione o trasgressione antisociale e utopisticamente neocomunitaria nella quale non si capisce se si parla di politica o di letteratura. Apro dunque Il libro a venire di Blanchot e al capitolo La scomparsa della letteratura trovo subito queste righe: «Spesso si sentono strane domande, come questa: “Quali sono le tendenze della letteratura attuale?” o: “Dove va la letteratura?”. Domanda sorprendente, ma ancora più sorprendente è il fatto che una risposta c'è, e facile: la letteratura va verso sé stessa, verso la sua essenza, che è la sparizione». È un tipo di stile in cui il tono è perentorio e il senso è inafferrabile. Società e storia spariscono, i problemi sono risolti e insieme nullificati, le circostanze di fatto azzerate e la letteratura, senza distinzione di genere e autore, è ridotta a un'essenza indicibile che coincide, chissà perché, con la sua sparizione... Un ammirevole gioco di prestigio, ma anche un linguaggio critico che può andare bene per Mallarmé ma non per Thomas Mann o Svevo, per Valéry e i surrealisti ma non per Eliot o Machado.
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