martedì 27 luglio 2004
Nulla sulla terra consuma un uomo più rapidamente che la passione atroce del risentimento. Qualche giorno fa avevo proposto in queste righe una sorta di elogio del dimenticare, evocando "l'angelo dell'oblio", protagonista di una parabola giudaica. Ritorno su quel tema attraverso un'altra strada, ma di direzione antitetica. C'è, infatti, anche la maledizione del non dimenticare. E' il caso del risentimento, "passione atroce", come lo definisce il famoso filosofo tedesco Friedrich W. Nietzsche nella sua opera postuma (1908) Ecce Homo. E ha ragione, perché chi si lascia intaccare da questo artiglio interiore non ha più tregua. E' significativo che la parola "risentimento" sia etimologicamente un "sentimento" moltiplicato, un "sentire" acuto che ti sconvolge e ti consuma. Chi non sa dimenticare e coltiva un rancore non conosce più la serenità. Eppure è una tentazione a cui spesso non si sa resistere, nonostante essa sia masochista. Il celebre Tommaso Moro, che aveva molte ragioni per recriminare ma che seppe conservare la pace interiore, aveva scritto: «Gli uomini, se qualcuno fa loro un brutto tiro, lo scrivono sul marmo; ma se qualcuno usa loro un favore, lo scrivono sulla sabbia». Saper dimenticare è, dunque, una grazia, saper perdonare è un dono alla fine fatto a se stessi. Lo scrittore argentino Borges in un suo racconto immagina che Caino e Abele s'incontrino nell'aldilà: solo che nessuno dei due ricorda chi sia stato l'assassino o la vittima. E dopo avere ricostruito la vicenda, Caino conclude: «Ora so che ci siamo perdonati davvero, perché dimenticare è perdonare».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: