venerdì 9 agosto 2002
Ora possiamo ammazzare, rubare, violentare, e tutti continuano a dire: è il mondo, è la vita. Ormai siamo uomini senza rimorso e senza peccati.E' stata pubblicata qualche mese fa, nel decennale della morte, col titolo Il sapore del pane (ed. San Paolo): si tratta di una raccolta di meditazioni accompagnate da versi che p. David M. Turoldo aveva scritto per una rivista. Citiamo per la nostra riflessione una frase forte ma che colpisce nel segno. C'è, infatti, ai nostri giorni una sorta di rassegnazione che nasce dall'abitudine. La televisione si accanisce fino al sadismo nel mostrarci tutti i risvolti dei delitti, ci offre trasmissioni sempre più violente e impudiche (e non solo in senso sessuale) e noi lentamente perdiamo la capacità di indignarci, abituandoci al male come a un normale caffè da prendere ogni giorno.La frase: «È il mondo, è la vita» diventa il grande alibi per sottrarci a ogni serio giudizio morale e a ogni impegno personale e sociale. Così, si piomba progressivamente nell'ottundimento della coscienza e nella perdita del rimorso e del senso del peccato, come dice giustamente p. Turoldo. Lo spegnersi
del fremito dell'anima che reagisce al male è purtroppo un fenomeno facile da verificarsi, come si legge in un passo del romanzo La fiera delle vanità dell'inglese W.M. Thackeray (1811-1863): «Fra tutte le facoltà morali il rimorso è la meno attiva, quella che con più facilità si può sopprimere quando si desta, senza contare che in molti non si desta mai».
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