domenica 19 agosto 2012
«Il passato è passato» disse il chimico. «Muore come le bestie brute. Chi viene a parlarmi delle tracce lasciate nella mia vita? Solo un pazzo o un bugiardo!».Charles Dickens è uno di quei supremi scrittori che nella loro opera rappresentano il mondo come un polifonico teatro. Come nel grande teatro, qui mette in scena un atteggiamento ricorrente: il rifiuto dell'appartenenza alla storia e al tempo. Ogni essere umano nasce individuale, unico, questo è certo. Ma il passato, le condizioni storiche, sociali, culturali, influiscono sulla sua formazione, rendendolo per molti aspetti affine ad altri suoi contemporanei e diverso da uomini vissuti in altre epoche o in paesi lontani. Ciò condiziona, ma non cancella per nulla l'essenza individuale di ogni persona. Il debole però teme questa realtà, preoccupato di dimostrare la propria eccezionalità. Teme il passato, il peso di una storia che non sente totalmente individuale, teme anche il proprio passato, che in quanto tale ha una dimensione di oggettività che lo fa sentire prigioniero. Perché il debole ha paura del presente: rifiuta il passato, altrui e proprio, proietta fantasticherie nel futuro, essendo incapace di affrontare il presente, l'unica dimensione che conta: contiene il passato, oggettivato, e il futuro, mai procrastinabile.
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